"La siciliana ribelle”. Rita Atria
raccontata da Marco Amenta
di Antonella Lombardi

Film di Marco Amenta sulla vita di Rita Atria
Storia di Rita, "La siciliana ribelle" che a 17 anni osò sfidare la mafia
Nell'infinita mattanza di mafia, nel mare di dolore che Cosa Nostra ha provocato in Sicilia, la storia di Rita Atria resta una delle più tristi, più commoventi, più tenere.
Quella di una ragazzina che ad appena 17 anni decide di denunciare gli assassini di padre e fratello, entrambi uomini d'onore.
E che instaura un rapporto forte col giudice Paolo Borsellino.
L'epilogo, però, è tragico: lei riesce a far condannare molti degli uomini del clan, ma si suicida sette giorni dopo la strage di via d'Amelio.
Visto che, morto il magistrato, le resta solo l'odio dei suoi compaesani e perfino di sua madre.
Così furiosa con la figlia da arrivare a profanare la sua tomba a martellate.
E adesso questa vicenda di coraggio e di lotta, di giovinezza tradita e di sangue, approda sul grande schermo.
Con un film che alla vera figura di Rita Atria è solo liberamente ispirato.
Si chiama La Siciliana ribelle, è già passato con successo all'ultimo Festival di Roma, ed è diretto da un autore emergente dalla forte personalità: il palermitano Marco Amenta, che si era fatto notare per la sua bella docufiction su Bernardo Provenzano, Il fantasma di Corleone.
E che alla Atria aveva già dedicato un documentario, dal titolo simile - Diario di una siciliana ribelle.
La pellicola di finzione è ambientata in un paese siciliano immaginario, dove vive una bambina, Rita Mancuso (Miriana Fajia), adorata dal papà, mafioso locale (Marcello Mazzarella).
L'uomo però viene ucciso sotto gli occhi della figlia; e alcuni anni dopo - nel 1991, quando Rita (Veronica D'Agostino) ha ormai 17 anni - viene ammazzato anche suo fratello Carmelo (Carmelo Galati).
Assetata di vendetta, decisa a farla pagare al mandante dei due omicidi (il boss Salvo Rimi, interpretato da Mario Pupella), decide di andare a parlare con un magistrato palermitano (l'attore francese Gerard Jugnot).
A lui, e solo a lui, la ragazza consegna i suoi diari, in cui ha annotato tutte le attività criminali che si svolgono nel suo paese.
Comincia così la sua collaborazione con la giustizia: si trasferisce a Roma sotto falso nome, inizia una storia d'amore con un ragazzo "normale" (Primo Reggiani).
All'inizio, Rita è mossa solo da una furia cieca verso chi ha massacrato i suoi familiari, ma non mette affatto in discussione la mafia: per lei, il papà e il fratello sono degli eroi.
Poi però, anche grazie al suo rapporto con giudice, la sua ottica cambia: come dirà in aula, al processo che vede alla sbarra tutti i criminali del suo Paese, il suo desiderio non è più la vendetta, ma la giustizia.
Ma poi il giudice suo amico viene fatto saltare in aria col tritolo: e a lei non resta che un gesto estremo di sfida, di lotta...
Il tutto in un film solido, con una bella interpretazione della protagonista Veronica D'Agostino.
Attrice già vista in Respiro di Emanuele Crialese, e che - per una di quelle strane coincidenze della vita - ha interpretato la figlia di Borsellino, nella fiction televisiva sul magistrato.
Meno felice, invece, la scelta di affidare un personaggio carismatico come il magistrato a Gerard Jugnot; ma il film è una coproduzione italo-francese, e dunque la presenza di un attore d'oltralpe tra gli interpreti principali era d'obbligo.
Altra caratteristica: la sua rappresentazione molto cruda e realistica di Cosa Nostra.
Che Amenta oggi, in conferenza stampa, rivendica: "Sono palermitano, ho lavorato sia come fotoreporter che come regista di documentari, ho fotografato morti ammazzati, ho incontrato i figli di Riina, ho conosciuto magistrati e poliziotti.
Perciò qui non mi sono rifatto all'iconografia classica del cinema mafiologico, ma alla realtà concreta.
Mostrando, come ha già fatto Gomorra, come nella criminalità organizzata non ci sia nessun romanticismo alla Padrino".
Ma Amenta sembra avercela soprattutto con alcune fiction italiane. "Fenomeni come gli amici del boss Matteo Messina Denaro o Riina su Facebook - attacca - mostrano come la rappresentazione della mafia, ad esempio in tv, può essere dannosa.
Anche solo per il fatto di far essere i mafiosi protagonisti: il pubblico tende a identificarsi col personaggio che sullo schermo compare più tempo.
Nel caso di personaggi inventati va pure bene, ma se sono reali, con nome e cognome, la cosa è deleteria".
Ultima annotazione: il film è stato visto ed è piaciuto alla moglie di Borsellino, mentre i parenti rimasti vivi della Atria - la cognata e la nipote, anche loro collaboratrici di giustizia - hanno fatto sapere di non apprezzare l'idea di trasformare la storia in un film.
"Le invito a confrontarci pubblicamente - conclude Amenta - ho cambiato nomi e situazioni proprio per tutelare la loro privacy".


Intervista a Marco Amenta


Per una curiosa coincidenza è nelle sale dell’Hotel delle Palme di Palermo, il luogo che sancì l’alleanza tra i rappresentanti delle cosche mafiose americane e quelle siciliane che si è svolta la conferenza stampa di presentazione del film “La siciliana ribelle” di Marco Amenta, storia drammatica della vita e del pentimento di Rita Atria, suicida dopo la strage di via D’Amelio nella quale morì il giudice Paolo Borsellino, suo punto di riferimento e quasi un secondo padre.
Fotogiornalista, Amenta si era già cimentato con la storia di Rita nel documentario “Diario di una siciliana ribelle” per poi dirigere la docu-fiction “Il fantasma di Corleone” sulla latitanza di Bernardo Provenzano.
Presentato in anteprima al festival internazionale del cinema di Roma, il film è stato accompagnato da aspre polemiche da parte dei familiari di Rita Atria e da qualche scontento da parte di chi si aspettava forse una storia con maggiore aderenza al vero e con minori concessioni alla fiction, dove esigenze narrative hanno compresso e un po’ sacrificato lo svolgimento del secondo tempo, nel quale si racconta il processo e il rapporto della collaboratrice con il giudice, punti nevralgici della pellicola.
Ma è proprio il regista a difendere a spada tratta la forma di una fiction “liberamente ispirata a una storia vera”.


Perché dopo il documentario fare una fiction della storia di Rita Atria?
“Il primo genere è più adatto a descrivere la cronaca dei fatti, mentre la forma della fiction è quella ideale per raccontare il percorso interiore di una ragazza che accetta un ribaltamento totale dei valori nei quali finora aveva creduto positivi: è un processo che in psicanalisi, quando ha successo, richiede circa 10 anni e che Rita invece riesce a compiere in pochi mesi.
Il film mi ha permesso di approfondire meglio questo aspetto”.

Lei ha paragonato il coraggio di Rita Atria a quello di Antigone. Perché?
“Come Antigone nella tragedia di Sofocle, Rita pone le morale al di sopra delle regole sociali, non le importa il prezzo da pagare. Antigone si ribella alla legge dello Stato e anche Rita si ribella alle regole di quello che crede il suo Stato, entrambe erano due eroine universali in lotta per la loro libertà”.

Nel film Rita non chiama mai per nome il giudice Borsellino e tra i due si registra una certa distanza come se al posto del magistrato potesse esserci chiunque, una dissonanza per un uomo che ha avuto un ruolo determinante nella vita e nella scelta di pentimento fatta da Rita.
“Volevo questa distanza: Il procuratore antimafia e Rita si scontrano, hanno vedute opposte, ci sono resistenze da ambo le parti. Rita vuole vendetta e il magistrato, invece, le insegna la giustizia. Fino alla fine con lei si comporta da giudice.
Ha un solo cedimento, umano e comprensibile, quando, da padre, le dice che è in tempo a ritirarsi, forse perché a una ragazza di 17 anni si sta chiedendo troppo.
Ma rendere questo all’inizio del loro incontro avrebbe voluto dire fare della soap opera”.

Per il ruolo del coprotagonista, il giudice Borsellino, appunto, è stato scelto un attore francese. E’ stata una strada obbligata, dovuta ad accordi di coproduzione con la Francia?
“E’ stato anche per quello ma non è stato il motivo determinante.
Io non cercavo niente di strettamente identificabile, anche fisicamente non cercavo una somiglianza aderente al vero volto di Borsellino, ogni individuo sarebbe sembrato troppo diverso rispetto all’originale.
La scelta di un francese come Gerard Jugnot, ha creato, anche linguisticamente, nelle riprese, una barriera che è stata funzionale alla storia per rendere il contrasto tra i due.
E poi grandi attori italiani, come Giannini si sono già misurati nella loro carriera con il ruolo del giudice.
A me interessava il lato umano del personaggio e il fatto che la moglie di Borsellino alla proiezione del film alla Camera dei Deputati abbia detto ‘Quello è mio marito’ per me è stata la conferma di una scelta giusta”.

Come ha scelto l’attrice, la lampedusana Veronica D’Agostino, che peraltro per la televisione ha interpretato il ruolo di Fiammetta, la figlia di Borsellino?
“Veronica ha interpretato anche ‘Respiro’, di Emanuele Crialese ed è arrivata qui dopo una serie di provini, ma ho capito presto che lei era la persona giusta.
E’una ragazza senza filtri, un’attrice di pancia, molto istintiva, che riesce a incarnare allo stesso tempo tenerezza e durezza e che mantiene un lato naif, selvaggio. che si adatta bene al ruolo: non avrei mai potuto scegliere una fighetta, sarebbe stata troppo distante dalla figura di Rita”.

Da parte dei familiari di Rita Atria e in particolare da Vita Maria Atria e Piera Aiello, rispettivamente nipote e cognata della collaboratrice di giustizia, sono arrivate aspre critiche al film e accuse sulla mancata restituzione di materiale privato messo a disposizione dai familiari, sulla distribuzione nazionale e non estera come promesso della pellicola e su una lontana aderenza al vero della trama. Come risponde?
“Ho restituito a suo tempo i vecchi vhs e sono disponibile a fare mille copie del materiale che mi è stato prestato.
So bene che Piera Aiello è tuttora una testimone di giustizia, non a caso mi sento vicino a queste persone e ho sempre agito per la legalità, dietro l’autorizzazione del servizio di protezione.
Tuttavia occorre distinguere il documentario girato 13 anni fa dal film nel quale ho rispettato la consegna del silenzio e ciò è evidente anche nei personaggi scelti che non sono gli stessi del documentario: per esigenze narrative ho introdotto personaggi inesistenti, come il carabiniere ucciso, un omaggio a vittime di mafia come Russo, Montana, Cassarà.
Mi chiedo invece come mai queste richieste siano arrivate ora, a distanza di 13 anni dal documentario, sul resto preferisco rispondere nelle sedi opportune e non aggiungere altro”.
LA VERITA’ SU RITA ATRIA

"La Siciliana Ribelle del regista Amenta non è la storia di Rita Atria"
L’ASSOCIAZIONE ANTIMAFIE “RITA ATRIA” INCONTRA I GIORNALISTI

12/02/2009 - Vita Maria Atria prende le distanze dal Film di Marco Amenta

COMUNICATO STAMPA: PRENDIAMO LE DISTANZE DAL SIG. MARCO AMENTA REGISTA DEL FILM IN USCITA "LA SICILIANA RIBELLE". PER LA PRIMA VOLTA INTERVIENE VITA MARIA ATRIA.
L'Associazione Antimafie "Rita Atria" si stringe attorno a Vita Maria Atria e a Piera Aiello perché la loro amarezza e le loro preoccupazioni sono le nostre. Desideriamo comunicare che non aggiungeremo altro su questa vicenda che proseguirà nelle opportune sedi.
segue comunicato stampa di Vita Maria Atria e le interviste a Piera Aiello e a Luigi Ciotti

Mi chiamo Vita Maria Atria e sono la nipote di Rita Atria, Testimone di giustizia che il 26 luglio 1992, in un estremo atto di resistenza, si è lanciata dal settimo piano del civico 23 di viale Amelia a Roma. Nel '92 ero veramente piccola ma nella mia mente i ricordi sono vividi: lo "zio Paolo" [Paolo Borsellino], la zia Rita, la mamma [la Testimone di giustizia Piera Aiello] che mi chiedeva di non dire il mio nome, per la paura e il timore di essere scoperte.
Da quando sono maggiorenne ho continuato a vivere nell'anonimato e non avevo ritenuto opportuno fare dichiarazioni pubbliche, affidando il mio impegno e la mia scelta ad un gesto: essere tra i soci fondatori di una associazione dedicata a mia zia e lavorare dietro le quinte, anche perché sono una ragazza dalle poche parole e ho preferito finora stare nell'anonimato per poter vivere una vita tranquilla e "normale", sempre fino a quando è possibile.
Oggi, mio malgrado, sono costretta ad affidare all'Associazione Antimafie "Rita Atria" (anche perché non lo posso fare direttamente vivendo in località segreta) un comunicato per esprimere in maniera netta e determinata la mia posizione sul film di Marco Amenta dal titolo "La siciliana ribelle", stanca di leggere sui giornali e sui siti web che "è rimasto toccato dalla vicenda", stanca di veder speculare sulla memoria di mia zia, una ragazzina-donna che ha avuto il coraggio di credere nei propri princìpi e di fare determinate scelte, a discapito di se stessa, perché credeva che ci potesse essere un mondo migliore al di fuori del "suo", un mondo onesto, ma a quanto pare si sbagliava.
Al signor Amenta vorrei dire che se proprio ci tiene a mia zia allora perché da 12 anni non restituisce materiale privato che in buona fede gli era stato affidato per la produzione di quel film documentario ("Diario di una siciliana ribelle") che per noi alla fine ha rappresentato l'ennesima prova del fatto che nella vita interessano solo le vittime morte, persone che hanno servito lo stato e che ora finiscono nel dimenticatoio o, nelle migliori delle ipotesi, vengono ricordate solo per scopi che poco hanno a che fare con il fare memoria in modo disinteressato.
Nonostante il signor Amenta in presenza di testimoni avesse garantito che "Diario di una siciliana ribelle" sarebbe stato distribuito esclusivamente all'estero e nonostante avesse messo per iscritto che nel materiale filmato contenente immagini private dei miei familiari avrebbe alterato i visi e, inoltre, avrebbe reso irriconoscibile la voce e l'immagine di mia madre nell'intervista girata per il film documentario, non ha messo in atto quanto dichiarato sulla distribuzione esclusivamente estera, e non ha sufficientemente alterato visi e voci come sottoscritto. Così facendo ha invece messo in serio pericolo me e mia madre.
Non mi interessa sapere se la storia di mia zia abbia toccato il signor Amenta, ma l'amore per una storia, per un impegno civile e morale, si dimostra con i fatti e non con la ricerca del successo, della gloria, degli applausi o della fama. Non credo che tutto questo serva a ricordare mia zia (e soprattutto una trama che è molto lontana dall'essere la sua storia), ma serva solo per scopi economici e io questo non lo ritengo opportuno.
Spero che il signor Marco Amenta comprenda e accetti questa mia decisione, che viene dettata dal mio cuore e dal profondo amore e rispetto che nutro nei confronti della mia cara zia e della sua scelta.
Appunto, una scelta di resistenza.
Vita Maria Atria